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L’INTRODUZIONE DI INSTAGRAM FOR BUSINESS CI HA MESSO DAVANTI A UN DILEMMA: È MEGLIO FARE PUBBLICITÀ A PAGAMENTO O VALORIZZARE IL COSIDDETTO “FATTORE UMANO”?

Insieme agli aspetti positivi da valutare al lancio di ogni nuova piattaforma, ci sono sempre almeno 3 buoni motivi per scegliere di non utilizzarla (o almeno, non subito).

Il tema Instagram for Business è stato affrontato anche qui in agenzia ed ecco le nostre conclusioni.

Partiamo da una premessa, però. Preferire una strategia basata sul “fattore umano” implica coinvolgere i follower attraverso contenuti originali, belli e di impatto, che raccontino una storia vera e che generi spontaneamente immedesimazione negli utenti. Si tratta di una strategia molto diversa dall’advertising tipico e, a nostro dire, è più naturale e coerente con il mezzo Instagram. Richiede però più tempo, risorse dedicate alla creazione dei contenuti e una storia da raccontare.

È più difficoltoso e per niente automatico, ma pensateci: quando vediamo dei  post sponsorizzati su Instagram, i brand che ne fanno uso non perdono ai nostri occhi un po’ di identità… del loro “fatto umano”, appunto?

Quando Instagram ha annunciato il lancio del proprio tool per le imprese, sembrava avverarsi il sogno di tanti digital marketer: il dark social per eccellenza metteva finalmente a disposizione i propri Analytics, rendendoli consultabili direttamente nell’app. Grandioso!

Ma questa dinamica non ve ne ricorda una già vista? Un percorso simile è stato compiuto proprio dalla casa madre di Instagram, Facebook.

Sono passati dieci anni da quando Facebook hai introdotto le “Pages”, che hanno consentito a organizzazioni, aziende, celebrità, grandi e piccoli gruppi, di aprire dei profili pubblici grazie ai quali interagire più facilmente con i loro fan/follower, coltivandone il sostegno e acquisendone di nuovi. Nel 2007, più di 10.000 imprese lavoravano fruttuosamente con le pagine di Facebook.

All’epoca, però, una Pagina era sempre e solo la stessa pagina; non c’era maniera per differenziare la pagina di una azienda da quella di un privato.

Per movimentare la faccenda, Facebook ha inventato le “Business Pages”, grazie alle quali è diventato possibile analizzare le pagine e migliorarne l’andamento – tenendo conto di dati demografici, di traffico ed engagement – e creare campagne pubblicitarie in target.

Il 2014 è l’anno cruciale della svolta di Facebook, quando è stato annunciato un nuovo aggiornamento del news feeduna modifica all’algoritmo che di fatto limita la capacità delle pagine, ma che secondo Facebook, aiuta gli utenti a costruirsi un feed più “piacevole”, che mostra “solo ciò che realmente si vuole vedere”. Suona simile alla notizia che Instagram ha condiviso negli ultimi mesi, vero?

Alla fine di questa operazione, i gestori di tutte le pagine si sono trovati a dover pagare per rendere visibili i loro post, attraverso gli strumenti per la creazione delle inserzioni.

Ben fatto, Facebook: questo sì che si chiama monetizzare! Ma adesso la festa è finita.

Se facendo un passo indietro nel 2007 avessimo immaginato che Facebook avrebbe reso l’organic reach delle pagine quasi del tutto irrilevante, forse avremmo scelto una strategia diversa per trovare nuovi contatti e conversioni online. Forse, avremmo scelto di raccontare una storia più personale.

Ed è qui che si è inserito un mezzo come Instagram.

Naturalmente la versione for Business di Instagram offrirà nel tempo molti vantaggi rispetto alle sue versioni precedenti, ma se tenete di più a personalizzare la vostra comunicazione che a fare ottimi advertising, ecco 3 buoni motivi per resistere al canto della sirena insight.

1. ORGANIC REACH, MANTENERLO E CURARLO

Se non passerete a Instagram for Business, manterrete il vostro organic reach.

Il valore organico dell’engagement non ha prezzo quando si tratta lavorare sull’immagine di un brand. Una interazione organica ha molte più probabilità di tradursi in una conversione.

Quando però vengono limitati i parametri organici di una piattaforma a livello di algoritmo, si finisce per forza a dover pagare per essere più visibili, ma sponsorizzare un singolo post è di certo un’attività più sostenibile (a livello monetario e di immagine) che pagare costantemente degli annunci. Anche se siete un brand consolidato, con un budget pubblicitario di milioni di dollari, avrete bisogno di qualche impression organica per rimanere impressi nella mente dei vostri follower!

2. LA BRUTTA ETICHETTA “POST SPONSORIZZATO/SCOPRI DI PIÙ ”

Nei risultati di Google qual è il link che cliccate per primo? Solitamente, il primo nella lista a non essere un annuncio.

Lo stesso vale per Instagram: alla vista dell’etichetta “post sponsorizzato” o “scopri di più” su una foto, si tende a scrollare oltre senza nemmeno rilasciare impressioni. “È solo pubblicità”, viene naturale pensare.

I post autentici, personali, creati ad hoc dagli account che abbiamo deciso di seguire, saranno sempre i nostri preferiti, quelli che ci soffermeremo a vedere, valutare, ricordare.

3. INVESTIRE NEL FATTORE UMANO

Crediamo che la sfida rimarrà aperta tra i marchi che sapranno meglio adeguarsi, in maniera fluida e naturale, alla vita delle persone e ai modi di comunicare degli utenti di ogni piattaforma. Facendo, insomma, scelte sempre più umane e meno automatizzate.

I brand che fanno una buona comunicazione su Instagram mirano a creare una connessione emotiva con i propri follower: è quella che fa scattare la scintilla.

Quando vediamo un post sponsorizzato, emergono le caratteristiche robotiche dell’invio automatico e il brand riduce la sua comunicazione a una serie di attività automatiche che non ispirano fiducia in nessuno.

Non dimenticate, anche la pubblicità digitale è una storia d’amore. Ed è così normale innamorarsi di un qualcosa che ci ispira, che ci parla chiaramente, che un po’ ci somiglia.

Parlare e agire in maniera umana, in questo lavoro dominato dalla tecnica, è il modo migliore per costruire una grande brand identity.

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